il monastero

Nel 1010 il vescovo Alberico istituì presso la basilica di Sant’Abbondio una comunità di monaci benedettini. L’iniziativa si collocava nel movimento di riforma delle istituzioni ecclesiastiche che, maturata nel secolo precedente in ambienti monastici e per iniziativa di alcuni presuli, aveva guadagnato il consenso dell’autorità imperiale: di origine tedesca, lo stesso Alberico fu cappellano di Enrico II ed intrattenne ottimi rapporti col successore Corrado II; la nuova comunità fu gratificata di privilegi da parte degli imperatori; la fondazione del monastero fu seguita, nel giro di pochi decenni, da quella dei cenobi di San Carpoforo e di San Giuliano in Como e dall’istituzione di canoniche – come San Fedele in città e Sant’Eufemia sull’Isola Comacina – caratterizzate dalla vita comunitaria praticata dagli ecclesiastici che vi risiedevano. Nel corso del Medioevo Sant’Abbondio mantenne stretti legami con l’autorità episcopale, probabilmente in virtù del suo particolare stato giuridico di monastero fondato da un vescovo in onore di un suo predecessore: l’episcopato comasco si adoperò per assicurare al cenobio il favore dell’impero e, dalla fine dell’XI secolo, del papato; tra XII e XIII secolo il monastero contese con insistenza al clero della cattedrale il diritto di avere il posto d’onore a fianco del vescovo nei solenni cortei in onore del presule o di alte personalità di passaggio in città; almeno fino alla fine del Duecento l’abate partecipò, insieme agli abati di San Giuliano e di San Carpoforo e ai canonici della cattedrale, all’elezione del vescovo. Soprattutto, furono ingenti donazioni episcopali ad assicurare ai monaci di Sant’Abbondio un vasto patrimonio, che alla fine del Duecento era costituito di beni fondiari e di edifici situati in città e negli immediati dintorni (in particolare a Monte Olimpino), nel contado (soprattutto ad Albate), nell’attuale Canton Ticino, in alcune località sul Lario, in Valchiavenna e, in misura più consistente e diffusa in Valtellina (soprattutto nel Bormiese, nella pieve di Mazzo e in quella di Ardenno); dal monastero inoltre dipendevano alcune chiese – Santa Maria a Sondalo, San Giovanni e Santa Tecla a Torno, San Martino a Morbegno – i cui parroci erano scelti dall’abate.
Alla fine del XII secolo risalgono i primi indizi di legami altrettanto saldi con il comune, che divennero ben evidenti nel Duecento quando nei documenti del monastero e negli atti ufficiali della città sant’Abbondio compare quale patrono non solo del vescovo – cioè dell’autorità che aveva fondato il cenobio – ma anche di Como e del territorio dipendente, coincidente di fatto con la diocesi.
Nel 1458 il monastero fu affidato al cardinale Giovanni Castiglioni, vescovo di Pavia: cominciava così la lunga successione di abati commendatari per lo più non residenti presso l’abbazia, ma non per questo – almeno fino alla fine del Cinquecento – disinteressati alla sua sorte. Durante l’abbaziato di Gian Pietro Visconti, in particolare, si tentò di riformare la vita della ormai piccola comunità attraverso il trasferimento di alcuni monaci osservanti della congregazione di Santa Giustina in Padova ma l’iniziativa non ebbe seguito; tra il 1530 e il 1568 l’abate Filippo Castiglioni e il suo successore Francesco Abbondio Castiglioni avviarono la costruzione del chiostro; nella seconda metà dello stesso secolo Paolo Della Chiesa e, soprattutto, Tolomeo Gallio promossero il rinnovamento del complesso monastico in forme classicheggianti.
Nella seconda metà del Cinquecento, peraltro, era cominciata la riduzione del patrimonio dell’ente: dagli anni Cinquanta del secolo, i rivolgimenti politici e religiosi innescati dalla riforma protestante resero necessaria l’alienazione di molti possessi situati nelle valli alpine, presso Lugano e nel Canton Ticino; nel 1616 l’abate Marco Gallio vendette la stessa chiesa, parte del monastero e alcuni terreni nelle vicinanze alle monache agostiniane di San Tommaso di Civiglio, che nel 1595 si erano trasferite in Borgovico. L’insediamento delle suore non comportò la soppressione della commenda, che mantenne redditi e amministrazione distinti da quella del monastero e che fu via via conferita ad alti prelati. Al momento del trasferimento in Sant’Abbondio le monache erano 24, ma durante il Seicento la comunità crebbe: nel corso di una visita del 1632 il vescovo Carafino contò 35 religiose, di cui quattro converse; nel 1645 furono 43 le monache che accompagnarono le reliquie di sant’Abbondio nel corso di una solenne processione che attraversò la città, mentre nella seconda metà del secolo la popolazione tornò alla consistenza iniziale – 24/26 monache. Da altre ispezioni vescovili sappiamo che nei secoli XVII-XVIII le strutture del monastero ospitavano le celle delle religiose, il granaio, la cucina, la cantina, l’educandato per le novizie e le converse, il giardino, la sala capitolare e quattro parlatoi; le monache potevano contare su redditi delle proprietà terriere ad Anzano, Arcellasco, Galliano, oltre che sul vino prodotto nella vigna presso la clausura. Per la comunità tuttavia era ormai cominciato il declino: abitato solo da tre religiose, il monastero fu soppresso nel 1783. Alla morte dell’ultimo abate commendatario, il cardinale Angelo Maria Durini, scomparso nel 1796, fu incamerato dallo stato anche il patrimonio della commenda, stimato il quadruplo di quello del monastero.

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Conferma della fondazione del monastero (1013)

© Centro studi “Nicolò Rusca” – Archivio storico della diocesi di Como

San Benedetto (intradosso dell’arco trionfale)

© Centro studi “Nicolò Rusca” – Ufficio inventariazione beni culturali